giovedì 28 luglio 2016

L’importanza di una buona comunicazione



Siamo soliti ascoltare o leggere su quanto sia importante mantenere una buona comunicazione, sia in ambito lavorativo, familiare, sociale o di coppia. Tuttavia, siamo consapevoli di tutto quello che comporta il processo di comunicazione?
Non sempre troviamo le parole giuste, il modo di farci capire o di trasmettere quello che desideriamo comunicare, persino di trasformare in parole quello che pensiamo o proviamo. Spesso ci sembra una vera sfida e talvolta è come se non fossimo noi, bensì il nostro interlocutore, a mettere una barriera affinché il nostro messaggio non giunga.
Non siamo consapevoli di tutti gli ingranaggi che prendono parte al processo di comunicazione. Ci dimentichiamo dell’importanza di comunicare con gli altri in modo chiaro e semplice, senza pensare all’impatto che possono avere le nostre parole ed i nostri gesti.
Supponiamo, diamo per scontato, facciamo ipotesi personali su avvenimenti o persone, sovraintendiamo, diffamiamo, aggiungiamo oppure omettiamo dettagli all’informazione che abbiamo ricevuto, etc. Tuttavia, come è la nostra comunicazione?

Creiamo realtà a partire dal linguaggio

Siamo come scultori che, in base alle proprie caratteristiche, esperienze e peculiarità, creano o distruggono l’informazione che formulano o ricevono. Bisogna considerare che gli esseri umani creano realtà tramite il proprio linguaggio.
Quando una persona cerca di trasmettere un’immagine, un sentimento, un concetto o un’idea, probabilmente l’interlocutore non riceve lo stesso. Ci avevate mai pensato? La causa della maggior parte dei malintesi è la mutua convinzione delle persone di parlare dello stesso argomento, quando l’idea che hanno al rispetto è completamente diversa.
Coppie che parlano d’amore, ma hanno punti di vista diversi al riguardo. Persone che condividono un’amicizia avendo, però, caratteristiche diverse. Non avevate mai pensato che, forse, quando conversate o discutete con una persona, potete avere visioni o dare interpretazioni diverse sul tema in questione?
Nelle conversazioni con gli altri, le parole possono essere le stesse, ma il contenuto del tutto distinto. La superficie e la profondità possono ospitare un rapporto diverso da quello che immaginavate. Bisogna pensare a quello che si dice e come si dice per ottenere una mappa precisa della nostra comunicazione con gli altri.

Domandare invece di supporre

Quando abbiamo una conversazione con un’altra persona, è fondamentale chiedere all’altro cosa significa per lui/lei l’argomento su cui si conversa. 
Cos’è per te l’amore? Cos’è per te una relazione di coppia? Cosa significa per te essere leale o noioso? Cos’è per te la felicità o la tristezza? E, allo stesso modo, noi dobbiamo spiegare il nostro punto di vista. In caso contrario, daremo per scontato che l’altra persona condivide il nostro punto di vista e che pensa come noi. Sarebbe una grande casualità, no?
Ci risparmieremmo molti conflitti e malintesi se, invece di supporre, chiedessimo al nostro interlocutore a cosa si riferiva con la sua idea o il suo ragionamento.
Ognuno ha alle spalle un’educazione, certe esperienze, una formazione, determinate caratteristiche personali che impediscono di condividere sempre le stesse opinioni o sentimenti simili. Sono gli occhiali personali con cui sentiamo, interpretiamo, pensiamo ed agiamo nel mondo. Ognuno di noi indossa un modello diverso.

Comunichiamo tramite storie


Perché non pensare che quello che comunichiamo è come un racconto? Quello che ti comunica è come un racconto, i fatti vissuti dalla propria esperienza rappresentano una versione e quello che l’altro comprende è un’altra versione dello stesso racconto in base alle sue caratteristiche. L’altro ascolta, ma capisce ed interpreta in base alle sue peculiarità.
Di certo vi sarete resi conto del fatto che, a volte, quando abbiamo raccontato qualcosa a qualcuno e questa persona l’ha comunicato ad una terza, non ha trasmesso esattamente quello che abbiamo detto noi. Ogni persona puntualizza gli aspetti importanti in base alle proprie esperienze. Per questo motivo, ogni persona è responsabile di comunicare la propria storia.
Quando diciamo che l’altro non ha ragione, quello che esprimiamo, in realtà, è che non la pensa come noi, o no? Rifletteteci…

mercoledì 20 luglio 2016

PSICOLOGIA E CANCRO: L'IMPORTANZA DELLA TERAPIA DI GRUPPO

Il cancro è un qualcosa capace di paralizzare, di annientare, una minaccia alla propria identità ed integrità, al proprio equilibrio emotivo; è un fenomeno in grado di scatenare una catastrofe esistenziale, di stravolgere vite umane, non solo a livello fisico ma anche psicologico, non è possibile infatti separare il corpo dalla sfera psichica.


Nell’immaginario individuale e collettivo il cancro continua ad associarsi a significati di sofferenza fisica e psichica, angoscia, impotenza, morte sicura (Costantini, Grassi e Biondi, 1998). Dopo una diagnosi di cancro certamente tutto cambia di significato: le relazioni familiari, sociali e professionali, il rapporto con il proprio corpo, i propri valori, i significati attribuiti alla sofferenza e alla morte.
Di fronte a questi inevitabili cambiamenti può generarsi un persistente stato di confusione, un senso di impotenza, di disequilibrio e di solitudine, il tutto spesso aggravato dalle reazioni di parenti ed amici. La popolazione oncologica è soggetta di fatto ad un alto rischio psicopatologico, dal momento che si trova ad affrontare situazioni a dir poco stressanti come la diagnosi, la debilitazione, la mutilazione, le terapie aggressive; senza dimenticare poi lo stato di dipendenza che si può generare, l’allontanamento forzato o non dal proprio ambiente di vita ed infine il rischio di morte.
Il paziente oncologico ha bisogno così di essere curato in tutti gli aspetti della sua patologia; è opportuno prendersi cura dei correlati psicologici che la malattia porta con sé, vanno battute tutte le strade che conducono al miglioramento della qualità di vita dei pazienti, circoscrivendo il rischio di effetti psicopatologici che potrebbero aggravare il quadro clinico. 

La psicologia in questo modo si fa spazio nell’oncologia, è sempre più determinata ad assumere un ruolo rilevante nell’assistere i pazienti affetti da cancro. Le consistenti ricerche incoraggiate in questo ambito indagano oltre alla presenza di disturbi psicologici e alla valutazione della qualità di vita, anche le strategie di informazione, le tecniche di sostegno psicologico, i modelli di supporto sociale e quanto ancora rimane da scoprire. 
Un aiuto psicologico diviene così importante per gestire gli eventi stressanti scaturiti dalla malattia, per contenere i fattori emozionali, le reazioni psicologiche del paziente che potrebbero influenzare negativamente il decorso della malattia fisica stessa. Il bisogno di aiuto psicologico risulta molto elevato dal momento in cui il disagio psichico secondario alle patologie oncologiche investe circa la metà dei pazienti ed un terzo dei familiari. 

In presenza di gravi malattie infatti, diviene molto importante esaminare l’emergere di problemi connessi all’affrontare la malattia ed il suo trattamento, diventa indispensabile aiutare le persone a vivere fronteggiando e gestendo le conseguenze personali, sociali, professionali della patologia; la paura di ricadute o di morte, lo stress familiare, l’isolamento sociale, la riduzione di energie, l’alterazione dell’immagine corporea (Spiegel e Giese-Davis, 2002) non sono certo inoffensivi.
Secondo alcune ricerche lo stress emotivo e la sua gestione potrebbero essere in relazione all’incidenza del cancro ed al suo avanzare gli stati emotivi, soprattutto quelli estremi e cronici potrebbero influenzare gli aspetti fisiologici e le abilità di coping. È importante quindi indagare i possibili effetti fisiologici dello stress sulla progressione della malattia così da sviluppare e valutare nuovi trattamenti. (Spiegel e Giese-Davis, 2002). La diagnosi e il trattamento di cancro scatena un range di emozioni come ansia, paura, tristezza ed angoscia. La gestione di esse rappresenta un problema non marginale per i pazienti e fornisce un’opportunità terapeutica. (Spiegel e Giese-Davis, 2002).

Le terapie psicologiche assistono il paziente oncologico in ogni fase della malattia, le dimensioni psicologiche vengono colte dalla diagnosi alla fine del trattamento. Questi interventi hanno lo scopo di diminuire nel paziente oncologico i sentimenti di alienazione, isolamento, impotenza, il sentirsi trascurato. 

Attraverso il trattamento si cerca di ridurre l’ansia, di chiarire percezioni ed informazioni errate che talvolta possono essere pericolose; si aiuta le persone a sentirsi meno inette e sfiduciate, incoraggiandole ad acquisire maggiore responsabilità e rispondenza ai trattamenti medici. (Fawzy and Fawzy, 1998). Infatti come sottolinea Toscano (2001), le più frequenti espressioni dirette della crisi del malato oncologico sembrano essere: ilrifiuto, come negazione della propria malattia ed ostacolo alla compliance in fase terapeutica; l’ansia, come paura della solitudine, della morte, della perdita di capacità fisiche e possibilità affettive; la depressione come rassegnazione, perdita di motivazioni, emozioni tale da portare ad un declino psicofisico devastante.
Davanti alla crescente consapevolezza di questi problemi associati ad una così grave malattia ed al suo trattamento, si è sviluppata una varietà di interventi supportivi per pazienti e familiari. Tali terapie hanno positivi effetti psicologici e fisiologici. La loro efficacia dipende dalla formazione ed abilità del terapeuta, dal rapporto di quest’ultimo con i pazienti, dalla natura e dal contenuto dell’intervento, dagli obiettivi principali e dagli esiti previsti.
La letteratura in merito si focalizza su quattro principali tipologie di interventi -behavioural therapy (includendo rilassamento, biofeedback e ipnosi); educational therapy (includendo formazione in abilità di coping e fornisce informazioni così da aumentare il senso di controllo del paziente); psychotherapy (includendo counselling); e support groups (aiutano le persone ad esprimere le loro emozioni)- evidenziando nel tempo un incremento della loro efficacia (Fallowfield, 1995).

La psicoterapia non rappresenta una terapia alternativa, ma uno strumento importante per alleviare la sofferenza psicologica dei pazienti e dei familiari determinata dalla malattia (Costantini, Grassi e Biondi, 1998).

Meyer and Mark (1995) hanno classificato i risultati di uno studio su diversi interventi psicosociali in cinque categorie principali:

1. Adattamento emozionale (stato dell’umore, autostima, locus of control, negazione, repressione);
2.   Adattamento funzionale (socializzazione, ritorno al lavoro);
3.   Sintomi legati alla malattia o al trattamento (nausea, dolore);
4.   Esiti medici (risposta del tumore, avanzare della malattia);
5.   Esiti globali (combinazione delle 4 precedenti categorie).

Dopo gli interventi terapeutici proposti sono stati ottenuti significativi effetti per tutte le categorie tranne per gli esiti medici.
Un trattamento che ha riscosso particolare attenzione nella psiconcologia è la terapia di gruppo.

I problemi fisici e psicologici incontrati da pazienti affetti da cancro sono numerosi ed unici; queste persone sembrano trarre un qualche beneficio dai programmi di intervento psicologico, in particolare quelli che impiegano come formato il gruppo.


In oncologia si possono impiegare gruppi psicoterapeutici condotti da professionisti, basati sulla comunicazione verbale, in cui il singolo membro è oggetto del trattamento e il gruppo diviene il principale fattore terapeutico. (Costantini e Grassi, 2004). Secondo alcune prospettive teoriche il gruppo assume le vesti di un microcosmo sociale con significative proprietà terapeutiche in sé; all’interno di esso si maturano esperienze di apprendimento interpersonali che rappresentano un forte meccanismo di cambiamento (Costantini e Grassi, 2002).
A partire dalla seconda metà del Novecento in America sono nati i primi gruppi terapeutici, considerato il successo ottenuto dai gruppi di alcolisti e di malati mentali. Con la creazione di gruppi di pazienti neoplastici si è cercato di prevenire problemi come ansia, depressione, dando informazioni, consigli e supporto emozionale ai membri.
Il gruppo in oncologia, in particolare quello di tipo supportivo, sembra avere maggior efficacia clinica rispetto ad interventi individuali; non si può certo negare che esso migliori le capacità di reazione alla malattia mediante l’osservazione delle modalità di reazione dei membri del gruppo. Quest’ultimo diviene il contesto di condivisione ed analisi degli ostacoli comuni, sviluppando un senso di universalità che allevia la sensazione di solitudine e di impotenza. Questo intervento propone come area focale il significato delle relazioni interpersonali, considerate come forza motrice del gruppo e area focale dell’intervento; contrasta i sentimenti di impotenza e inutilità mediante l’aiutarsi a vicenda tra i membri; migliora la capacità di comunicazione ed espressione emozionale sia nel qui e ora del gruppo che nella realtà esterna (Grassi, Biondi, Costantini, 2003) 

Negli ultimi anni sono stati integrati diversi orientamenti di terapie di gruppo e sottolineando gli elementi di base comuni ai diversi modelli si è giunti a spiegare una maggiore quantità di effetto terapeutico a confronto delle singole tecniche. L’efficacia clinica delle terapie di gruppo con pazienti affetti da cancro di diverso tipo è stata indagata relativamente a “qualità di vita, compliance al trattamento medico, capacità di comunicazione e relazione con medici, modalità di affrontare la malattia e convivere con la malattia, ansia, depressione, dolore e relazioni con familiari” (Costantini e Grassi, 2002). 

In letteratura possono essere evidenziati alcuni diversi modelli di intervento, riconducibili a tre categorie di gruppi terapeutici, che permettono di orientarsi tra i vari filoni in cui è andata sviluppandosi la terapia di gruppo in oncologia: gruppi di informazione-educazione, gruppi con focus cognitivo e coping skill training, gruppi interpersonali di “recupero” o di “supporto” ad orientamento esistenziale (Costantini e Grassi, 2002). Nelle prime due tipologie il conduttore utilizza uno stile deduttivo o interattivo: non viene sfruttato a pieno il fattore “interazione di gruppo”, ma sono previste tecniche utilizzate in genere nel setting individuale.

Nei gruppi di educazione, lo scopo diviene di fornire elementi per la prevenzione e di aumentare la conoscenza della malattia e del trattamento. Si arriva così a migliorare il senso di controllo e la percezione di efficacia personale sia nei pazienti che nei loro familiari, riducendo lo stress successivo alla diagnosi. Sottoforma di lezioni o workshop, le informazioni vengono trasmesse da figure professionali coinvolte nel trattamento. I gruppi psicoeducazionali sono piuttosto brevi e condotti con uno stile deduttivo -didatticamente orientati, con interazione limitata a eventuali domande poste dai partecipanti- e migliorano la conoscenza della malattia e del trattamento, aumentando l’aderenza al regime terapeutico e l’adattamento funzionale. Sono particolarmente indicati a pazienti a rischio genetico o che da poco hanno ricevuto una diagnosi di cancro o ai loro familiari. 

La seconda tipologia -gruppi con focus cognitivo- è rivolta a pazienti già in cura. Questi gruppi sono orientati alle modalità individuali di risposta emotiva e comportamentale; generalmente sono alquanto brevi (12-15 sedute) e strutturati. Lo stile di conduzione viene definito in prevalenza interattivo; un approccio cognitivo comportamentale viene integrato solitamente ad alcuni aspetti affettivi ed esistenziali. Viene stimolata un’aperta espressione e consapevolezza delle proprie reazioni emozionali ed una comunicazione autentica all’interno del gruppo, una formazione specifica per migliorare la capacità di far fronte alla malattia promuovendo comportamenti che favoriscono la salute. In genere siamo davanti ad un approccio strutturato in cui sono proposte parti didattiche ed esperenziali di esercizi o discussioni che migliorano la gestione di alcuni sintomi e favoriscono l’abilità di risposta alla malattia. 

La terza categoria si rivolge a pazienti in fase avanzata della malattia, a quelli in cui è progredita nonostante le cure, insomma a chi desidera una revisione più estesa della propria vita dopo il cancro (Costantini e Grassi, 2002). In genere sono gruppi duraturi (oltre sei mesi), che permettono l’espressione autentica dei sentimenti e delle preoccupazioni personali. Condotti con stile induttivo, da conduttori esperti in questioni di gruppo che promuovono la coesione tra i membri attraverso la gestione della discussione, della rete di relazioni e delle dinamiche di gruppo. 
I contenuti sono proposti dai pazienti, non strutturati, centrati sul processo di gruppo e facilitati dal terapeuta. Questa tipologia migliora l’adattamento emozionale, favorendo supporto, revisione delle priorità, recupero della progettualità esistenziale, l’affrontare il significato personale del vivere e del morire. 

Questi gruppi interpersonali di recupero e di supporto a orientamento esistenziale trovano un fondamento sulla constatazione che le difficoltà incontrate dai pazienti neoplastici sono di natura esistenziale (Serblin e al, 2000). La terapia di gruppo supportivo- espressiva è designata infatti per enfatizzare la regolazione e l’espressione delle emozioni: il suo focus esistenziale concerne l’ansia della morte, l’isolamento, le responsabilità. In tale terapia sembrano così emergere alcuni temi fondamentali: costruzione di legami, espressione dei sentimenti, ricostruzione delle priorità nella vita, l’accordarsi con i dottori, placare il dolore (Spiegel e Classen, 2000).

I terapeuti incoraggiano l’espressione delle emozioni personali e un mutuo supporto tra i membri del gruppo: l’espressione delle emozioni primarie (angoscia, paura, tristezza) è uno specifico pilastro della terapia. La psicoterapia riduce così la soppressione delle emozioni sfociando in un livello di stress inferiore, come emerge da una ricerca su pazienti con metastasi al seno (Classen et al. 2001). 
L’espressione delle emozioni più forti in un setting supportivo permette di accrescere il sostegno sociale, costruendo forti legami tra i membri in modo da sconfiggere l’isolamento caratteristico dei pazienti con cancro. 
Il partecipare ad una terapia di gruppo permette confronti con aspetti difficili di una simile esperienza, un confronto capace di dirigere la crescita delle abilità dei pazienti nel far fronte alle proprie paure di morte, una migliore gestione dei sintomi e ricostruzione delle priorità. Spesso si ricorre all’aiuto di persone sopravvissute che avendo appreso come interfacciarsi alla malattia possono aiutare gli altri a farlo. Una simile terapia incoraggia i partecipanti ad assumere un ruolo attivo nel loro trattamento, a sentirsi liberi di fare domande, ad aprirsi agli altri ed a sé stessi, riducendo il senso di isolamento ed incomprensione. Molti partecipanti instaurano legami profondi di amicizia ritrovandosi anche al di fuori dal gruppo. Insieme hanno condiviso, preso parte alla costruzione di un nuovo senso di sé, di nuove priorità e responsabilità, alla ricostruzione di linee di comunicazione con persone importanti (Serblin e al., 2000). All’interno di questi gruppi i soggetti trovano uno spazio in cui possono affrontare delicate tematiche, che probabilmente al di fuori di quel contesto eviterebbero di trattare, come ad esempio il significato della malattia, “perché io”; in un simile luogo le loro paure ed angosce possono essere esplorate e magari gestite. 

In sintesi lo scopo di un simile gruppo è quello di creare un ambiente dove i pazienti ricevono supporto dagli altri ed esprimere a pieno sentimenti ed idee (Serlin, 2000), si scambino informazioni ed esperienze, si trovi supporto ai problemi personali. Il gruppo assolve la funzione di contenitore di tutte queste angosce (Costantini e Grassi, 2004). 
Un intervento strutturato, formato da aspetti di educazione alla salute, formazione/gestione dei comportamenti, coping (incluse tecniche di problem solving) e gruppi di supporto psicosociale, sembra offrire benefici significativi per pazienti con recente diagnosi o ai primi stadi del trattamento in cui il focus diviene apprendere a vivere con il cancro (Fawzy e Fawzy, 1998). Gli interventi di gruppo devono essere usati come una parte integrante dell’assistenza medica e mai come indipendente. 
Compete al terapeuta prendere decisioni circa la composizione, il formato, le dimensioni dei gruppi (Costantini e Grassi, 2002). Nelle terapie di gruppo non sembrano buoni candidati i pazienti affetti da forte deterioramento cognitivo, patologia grave del carattere, con grave depressione o disturbi psicotici, con aspettativa inferiore ai sei mesi o con problematiche pressanti non condivisibili, e chi rifiuta di partecipare. Sembra auspicabile organizzare gruppi omogenei per fase e sede di malattia: in questo modo viene incoraggiata una maggiore coesione e comprensione, dal momento che si presentano le medesime difficoltà da fronteggiare. Di norma si tende a separare i gruppi in fase avanzata della patologia da quelli in stadio iniziale. 
I gruppi inoltre possono essere aperti o chiusi (iniziano e finiscono insieme) e più o meno numerosi a seconda del tipo di intervento. Diversi gruppi possono rivelarsi utili in distinte fasi della malattia; per quanto riguarda l’area della prevenzione primaria l’uso dei gruppi si è rivelato efficace in persone con un maggior rischio di ammalarsi. Alcuni studi sulle terapie di gruppo con pazienti che hanno già manifestato la malattia hanno evidenziato che il gruppo migliora l’adattamento alla malattia. 
Sembra che i gruppi brevi (12-16 sedute) e strutturati di terapia cognitivo comportamentale migliorano l’adattamento nei pazienti in fase iniziale di malattia. Coloro che si trovano già in fase avanzata della malattia beneficiano di trattamenti di gruppo senza un tempo definito a priori, non strutturati e fondati su un’interazione tra i membri. L’utilità dei singoli gruppi sembra sia significativamente correlata all’obiettivo del terapeuta e alla tecnica e stile di conduzione conseguentemente scelti. 

Un altro tema da affrontare in questo ambito riguarda la formazione del terapeuta. Egli dovrebbe possedere una buona esperienza nella terapia di gruppo, così come nel lavorare con pazienti oncologici, essere abile nello stabilire relazioni significative, gestire le forti reazioni che potrebbero scatenarsi in sé, affrontare la sofferenza (Serlin, 2000). Deve essere capace di mantenere il suo ruolo anche se a volte sarebbe utile varcare i confini, essere emozionalmente presente, possedere “una mente capace di commuoversi e di stupirsi” (Neri, 2002), aiutando il gruppo a fare altrettanto.
Il terapeuta dovrebbe favorire la cultura del gruppo, un insieme di norme proprie che rappresentano il set esplicito ed implicito di ruoli e comportamenti attraverso il quale il gruppo conduce se stesso. La cultura di gruppo contribuisce alle condizioni di sicurezza e di accettazione (Serlin, 2000). Alcune di queste norme includono il sentirsi liberi di interagire spontaneamente, onestamente, accettazione e non valutazione degli altri, stabilire il focus sul problema cancro, informazioni sulle assenze. 
Lo scopo di una simile terapia non è diretto al cambiamento della personalità, ma si rivolge al qui ed ora, cercando di promuovere la manifestazione di quelle emozioni descritte precedentemente. 
Il conduttore dovrà essere capace di facilitare interazioni supportive, sviluppare la comunicazione in ogni direzione possibile, incoraggiando l’espressione di sentimenti e pensieri, evitando che i pazienti si esprimano in modo astratto e impersonale. Può risultare utile inoltre spingere a prender parte ai propri trattamenti, monitorando il loro disagio, facendo attenzione ai sintomi, collaborare con i medici. 
Oltre ai cambiamenti psicologici, alcune ricerche hanno considerato alcune modificazioni biologiche come esiti di interventi di gruppo o addirittura ci sono stati studi che hanno cercato di evidenziarne gli effetti sulla sopravvivenza di pazienti con cancro. Sono state valutate le conseguenze di un intervento di gruppo in termini di qualità di vita, sconforto psicologico, abilità di coping, funzioni immunitarie e tempo di sopravvivenza (Hosaka e al., 2001). 

Spiegel e coll. (1989) hanno riportato che le pazienti con cancro al seno, dopo aver ricevuto un intervento di gruppo, hanno mostrato maggior sopravvivenza rispetto al gruppo di controllo. Anche Fawzy e coll. (1993), in seguito ad una terapia simile, hanno evidenziato una riduzione di sconforto emozionale, miglioramento del funzionamento immunitario e una minor percentuale di ricadute o morti. Secondo Goodwin e colleghi (2001) la psicoterapia di gruppo migliora la qualità di vita di pazienti con cancro, ma non la quantità: si riduce il dolore e lo stress, si vive meglio dunque ma non più a lungo. 

Edelman e coll. (2000) in una ricerca hanno compiuto un excursus degli studi che sono riusciti oppure hanno fallito nel trovare conferma alla relazione tra psicoterapia e tempo di sopravvivenza. 
La letteratura appare così divisa sulla questione dei benefici della terapia sulla sopravvivenza, in ogni modo la terapia di gruppo per pazienti oncologici potrebbe ugualmente essere prescritta per i suoi vantaggi psicologici, per l’effetto positivo sulla qualità di vita, se non necessariamente perché prolunga l’esistenza (Spiegel, 2001). 
In Italia qualcosa si sta muovendo in questo senso, ma siamo ancora agli inizi, molta strada è ancora da percorrere, pochi centri hanno sviluppato programmi di psicoterapia di gruppo. Alcune esperienze significative in questo campo sono state compiute da Grassi sulla psicoterapia supportivo- espressiva e da Costantini sulla psicoterapia di gruppo a tempo limitato (Costantini, 2000). È importante così incoraggiare l’importazione attiva delle terapie di gruppo in Italia, adattandole alla realtà, alla cultura italiana poiché, guardando la letteratura in merito, non è possibile negare che i gruppi proteggano i pazienti da uno stress continuo, forniscano l’opportunità di dare e ricevere supporto, di esprimere i loro pensieri e sentimenti inerenti il significato di come sia vivere con una simile malattia. Considerando gli aspetti psicologici della malattia viene tutelata la salute psicofisica del malato che può sentirsi equipaggiato ad affrontare al meglio la propria malattia. 

Di fronte ad un simile scenario non si può far altro che accogliere l’importante contributo dato dalla terapia di gruppo ai pazienti oncologici in un momento critico della loro vita. La psiconcologia dovrà integrare i trattamenti medici, dovrà mettere a disposizione le proprie risorse, promuovendo una visione globale della patologia, in cui domina un’influenza reciproca tra psiche e soma. 

Bibliografia
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·  Costantini A., Psicoterapia di gruppo a tempo limitato. Basi teoriche ed efficacia clinica, McGraw-Hill Libri, Milano 2000. 
·   Costantini A., Grassi L., "Gli interventi di gruppo", in Bellani M. Marasso G., Amadori D., Orrù W., Grassi L., Casali P., Bruzzi P., Psiconcologia, Masson, Milano 2002. 
·       Costantini, A., Grassi, L.,Biondi, M. (1998). Psicologia e Tumori. Una guida per reagire. Il Pensiero Scientifico Editore. 
· Danner D.D., Snowdon, D.A., Friesen, W.V (2001).positive emotions in early life and longevity: findings from the nun study. Journal of Personality and Social Psychology. Vol.80;804-813
·     Edelman, S., Craig, A., Kidman, A.D.(2000). Can psychotherapy increase the survival time of cancer patients?. Journal of Psychosomatic Research. Vol.49;149-156. 
·   Fallow,L. (1995). Psychosocial Interventions in cancer. Bmj. Vol311 ; 1316-1317. 
·    Fawzy, I and Fawzy, N.W (1998). Group therapy in the cancer setting. Journal of Psychosomatic Research. Vol.45;191-200. 
·      Fawzy, F., Fawzy, N.W., Huyn, C.S., Elashoff, R.(1993). Effects of an early structured psychiatric intervention, coping and affettive state on recurrence and survival six years later. Arch. General Psychiatry. Vol.50;681-689. 
·     Goodwin, P.J, Leszcz, M., Ennis, M. et al. (2001). The effect of group psychosocial support on survival in metastatic breast cancer. The New England Journal of Medicine. Vol.345; pp1719-1726. 
· Grassi L., Biondi M., Costantini A., Manuale pratico di Psiconcologia, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2003.
·       Hosaka, T., Sugiyama, Y., Hirai, K., Okuyama, T., Sugawara, Y., Nakamura, Y.(2001). Effects of a modified group intervention with early-stage breast cancer patients. General Hospital Psychiatry, Vol.23;145-151.
·   Meyer, T.J, Mark, M.M.(1995). Effects of psychosocial interventions with adult cancer patients: a meta-analysis of randomized experiments. Health Psychology vol.14:101-8. 
·       Neri C., Comunicazione personale, 2002. 
·       Serlin, I.A, et al. (2000). Symposium :support groups for women with breast cancer : traditional and alternative expressive approaches. The arts in Psychotherapy. Vol. 27 (2); pp.123-138.
·   Spiegel, D. (2001) Mind Matters-group therapy and survival in breast cancer. The New England Journal of Medicine. Vol.345, n.24, pp1767-1768.,
·  Spiegel, D., Bloom,J.R, Kraemer, H.C e al.(1989). Effect of psychological treatment on survival of patient with metastatic breast cancer. Lancet, 888-891.
·  Spiegel, D. e Classen, C., (2000). Group therapy for cancer patient: a research-based Handbook of Psychosocial Care, Basic Books, New York. 
·       Spiegel, D., Giese-Davis, J.(2002). Reduced emotional control as a mediator of decresing distress among breast cancer patients in group therapy. International Congress Series. Vol.1241;pp.37-40. 
Sti internet consultati
Ø     www.stpauls.it/fa_oggi/ (Psicoterapia di gruppo in oncologia di Anna Costantini e Luigi Grassi, 2004) 
Ø ww2.unime.it/oncologiamedica/Convegni/Congresso (Terapie psicologiche in oncologia di Lucia Toscano, 2001)

martedì 12 luglio 2016

5 buone abitudini delle persone emotivamente equilibrate

5 buone abitudini delle persone emotivamente equilibrate da prendere come esempio per riuscire vivere in pace con la propria emotività.

Esistono al mondo persone in grado di gestire qualsiasi cosa, in grado affrontare la vita sempre a testa alta nonostante i disagi, nonostante gli stenti. Sono le 
persone emotivamente equilibrate.

Il potere delle emozioni
Le persone emotivamente equilibrate sono coloro che riescono a prendere in mano le proprie emozioni, a gestirle, a non farsi trasportare dalla negatività.
Chi è dotato di equilibrio emotivo vive meglio, in maniera più serena e soddisfacente.
Le emozioni rappresentano la nostra forza, il nostro potere. Nel momento in cui riusciamo a gestire il fiume in piena dell’emotività, potremmo affrontare qualsiasi cosa.

Perché è importante essere equilibrati emotivamente
Gli esperti sostengono che ad ogni emozione corrisponde un certo accumulo energetico. Tale ammasso di energia deve essere in qualche modo liberato.

Come si liberano le emozioni?
Le emozioni per essere liberate devono essere espresse. Solo nel momento in cui un’emozione viene espresse l’individuo riesce a liberare quest’energia accumulata.
Quando tendiamo a reprimerci, a sopprimere le emozioni (che in qualche modo comunque sentiamo ma che non esprimiamo) quest’energia rimane dentro, ci si ritorce contro, provocando un senso di malessere generale che può portare anche a seri problemi, a vere e proprie patologie croniche (problemi cardio-circolatori, calcoli alla cistifellea, cistiti etc).

5 buone abitudini delle persone emotivamente equilibrate
Ecco quali sono le 5 buone abitudini delle persone emotivamente equilibrate.

1)  Sanno mettersi in discussione
Se da un lato, mantenere le proprie posizioni può essere sinonimo di carattere e fermezza dall'altro chi non cambia mai opinione quasi sempre non ha una mente lucida. L’elasticità mentale è importantissima, ammettere di aver sbagliato o cambiare parere su un argomento è sinonimo di intelligenza ed equilibrio.
2)  Accettano se stessi e chi li circonda
Ognuno di noi ha pregi e difetti (fisici e interiori). Le persone equilibrate emotivamente sono coloro che hanno imparato ad accettare se stesse, nel bene e nel male. Oltre ad accettare il proprio io le persone più equilibrate emotivamente hanno imparato ad accettare chi le circonda. Questo non vuol dire che condividono pensieri e modi di fare di chiunque, semplicemente hanno compreso che il mondo è saturo di diversità e loro nutrono profondo rispetto per coloro che pensano o agiscono in maniera differente.
3)  Dedicano del tempo alla propria persona
Nonostante il tran tran della vita quotidiana le persone equilibrate riescono a dedicare dei ritaglio di tempo a se stesse, a ciò che amano fare e che le fa sentire bene. Dobbiamo prenderci cura di noi stessi, sempre!
4)  Esprimono le proprie emozioni
Spesso si hanno difficoltà nel dare ascolto alle proprie emozioni proprio perché tendiamo a non esprimerle! Ridere, piangere, gioire, arrabbiarsi, sono le modalità attraverso le quali le emozioni vengono espresse, reprimendole non faremo altro creare un dis-equilibrio emotivo!
5)  Fanno una vita regolare
  “Mente sana in corpore sano” Difficilmente le persone che fanno una vita troppo irregolare (alimentazione, sport, ore di sonno etc.) riescono a raggiungere una condizione di equilibrio emotivo. Mente e corpo vanno di pari passo. Se il nostro organismo non sta bene, la mente, e con essa le emozioni, ne risente profondamente creando scompensi e problematiche nell'esprimere se stessi e nell'affrontare la vita.