La comunicazione tra un
gruppo di persone assume quasi sempre una forma geometrica che la
contraddistingue, il cerchio. Qualsiasi forma di comunicazione, come una
chiacchierata con gli amici, un incontro di lavoro, dei ragazzini che devono
decidere una strategia di gioco, un gruppo di supporto o una terapia di gruppo
avviene in cerchio.
Questa forma geometrica non è casuale, il cerchio infatti
permette ad ogni individuo, partecipante al gruppo, di poter osservare il volto,
la postura e le espressioni degli altri, fornendo ai partecipanti l’idea di
unione, condivisione, quasi a voler sottoscrivere un patto non detto di
alleanza e fedeltà a ciò che vi viene detto e che accade all’interno.
Tutti noi abbiamo
partecipato almeno una volta nella nostra vita ad una conversazione di gruppo,
in cui i partecipanti assumono una forma circolare, questa posizione, che
spesso assumiamo naturalmente quando siamo in gruppo, è stata molto sfruttata
nella terapia di gruppo.
La prima volta che
partecipai ad una terapia di gruppo fu con famiglie di bambini con la sindrome
di Down. Ricordo che ci fecero mettere proprio in cerchio, erano su per giù 15
famiglie e i bambini erano con gli scout al piano di sopra così da non
disturbare i genitori. Tra quei genitori alcuni si vedevano per la prima volta,
altri invece già si conoscevano e avevano già partecipato ad un esperienza del
genere. La posizione che questi hanno assunto all’interno del cerchio è stata
pressoché illuminante sotto questo punto di vista, perché aveva messo
chiaramente in risalto i gruppi di persone che si conoscevano da quelli che si
trovavano li per la prima volta.
Dopo un po' iniziò il
gruppo vero e proprio, quello a cui stavamo partecipando era un gruppo di
presentazione ad un settimana estiva per genitori di bambini con la sindrome di
Down. Dopo un saluto iniziale il coordinatore del gruppo chiede ai partecipanti
di presentarsi, ma in maniera particolare, questi infatti si presentavano non
raccontando la propria storia, ma il loro essere genitori, la loro esperienza
come genitori di un bambino con bisogni speciali.
Ad uno ad uno ogni
genitore ha raccontato la propria storia, marito e moglie non la raccontavano
insieme, ognuno aveva la propria esperienza da raccontare, il proprio vissuto,
le proprie emozioni. All’interno di quel cerchio i partecipanti sembravano svincolati
da ogni legame, adesso avevano, tutti, non solo la stessa posizione,
all’interno del gruppo, ma anche lo stesso legame. Ognuno dei partecipanti era
desideroso di condividere la propria esperienza, le proprie emozioni e i
sentimenti provati, ma soprattutto di conoscere quelli dell’altro.
Parlando poi con i
singoli partecipanti ci è stato confermato che quei momenti di gruppo, che si
svolgevano una volta al giorno per tutta la durata della vacanza, erano per
loro fondamentali, attraverso quei momenti riuscivano
a capire meglio i propri sentimenti, le proprie emozioni, nel gruppo avevano
portato le loro paure, le loro gioie per i traguardi raggiunti, in quel gruppo
avevano trovato conforto e comprensione. Alcuni genitori hanno affermato
che quella settimana dava loro la giusta energia per affrontare un intero anno.
Mi sono posta così questa
domanda: perché per l’uomo è così
importante il gruppo? Che potere ha
questo sulle persone, in che modo la condivisione delle esperienze aiuta la
crescita e la cura personale?
Fin dall’antichità l’uomo
per garantirsi la sopravvivenza ha deciso di vivere in gruppo, questo gli
permetteva di assicurarsi cibo e protezione; ma il gruppo permetteva e permette
tutt’oggi all’individuo di apprendere le norme di comportamento di sviluppare
la propria personalità e di conoscere meglio se stessi.
Il carattere, la
coscienza e il comportamento si formano nelle relazioni che l’individuo istaura
con le persone che lo circondano, con le quali si confronta e si scontra;
questo gli permette di acquisire l’autonomia, l’indipendenza e la crescita
personale. Secondo André Berg (1968) l’essere umano si sviluppa sotto l’azione
di due forze contrapposte: una “individualizzante” e una “integrante”; la prima
“tende a differenziare sempre più profondamente l’individuo, mentre l’altra
tenderà ad integrarlo in un insieme ove l’individualità tende a svanire” (A.
Berg, “le psicoterapie” 1968). All’interno del gruppo l’individuo può
apprendere l’educazione, la socializzazione e acculturazione, fondamentali per
la crescita culturale e sociale dell’individuo. Attraverso il gruppo
l’individuo crea la propria identità, inizialmente nel gruppo famiglia, poi in
quello dei coetanei e infine nel gruppo sociale di appartenenza; legami e relazioni
con il gruppo sono fondamentali all’individuo per capire chi è. Per questo
motivo quando parliamo di bisogno di relazione tra gli individui non possiamo
fare a meno di parlare del bisogno di appartenenza al gruppo, ossia quel
bisogno specifico di riconoscimento, di considerazione da parte degli altri e
di scelta differenziale dell’altro come oggetto di relazione. Da questo bisogno
scaturisce l’identità di gruppo che
consente all’individuo di identificarsi in relazione a come egli appare agli
altri, ma gli permette anche di differenziarsi, stabilendo i confini del
proprio Io e degli altri; portandolo alla conoscenza del proprio Sé e degli
altri.
Nasce così l’idea dei
gruppi di terapia i quali hanno lo scopo di permettere alle persone di curarsi
reciprocamente (Marsh, 1930). Freud (1920) ci dice infatti che “la psicologia
individuale è al tempo stesso psicologia sociale”, è chiaro quindi che non si può considerare l’individuo seTERAnza il gruppo in cui è
inserito.
Articolo ispirato dal libro: "La terapia di gruppo. Istruzioni per l'uso di gruppi di terapia." E. Giusti, A. D'Ascoli - Quaderni A.S.P.I.C.
Dott.ssa Chiara Giaquinta
Laureata in Psicologia e
tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara