mercoledì 29 giugno 2016

Tempo di Esami, Tempo di Ansia. A proposito dei rimedi!


Arriva l’estate e con essa il tempo degli esami di maturità, di quelli all'università e, più in là, i famigerati test di ingresso per le facoltà a numero chiuso. Fioccano gli articoli sull'ansia da esame, ci raccontano quanti studenti ne soffrono, ci spiegano cosa fare per gestirla, attutirla, eliminarla, offrono consigli a genitori preoccupati.
La ricerca google per il termine “ansia da esame” produce i seguenti titoli
  1. Stress e Ansia da esame: strategie di controllo
  2. Ansia da esame: se la riconosci la superi
  3. Ansia da esame: 10 cose da sapere per tenerla a bada
  4. Ecco come battere l’ansia da esame
In tutta la prima pagina di ricerca google non c’è nessun articolo o pagina web che punti a chiarire tre aspetti fondamentali dell’ansia in generale e dell’ansia da esame in particolare. Concetti assolutamente basilari per uno psicologo!

#1 Provare ansia è normale!

E’ assolutamente normale provare ansia, irrequietezza e agitazione nei giorni o settimane precedenti ad una valutazione riguardante la nostra prestazione o preparazione.
Già Freud, nel lontano 1925, aveva sottolineato che le reazioni di angoscia (in psicoanalisi si parla di angoscia e non di ansia) non sono tutte “nevrotiche” e che se ne riconoscono tante come normali.
Egli aveva quindi distinto l’angoscia reale, causata da un pericolo reale che riusciamo ad identificare (come un esame appunto!), dall'angoscia nevrotica attivata invece da un pericolo del quale non siamo consapevoli e che affonda le sue radici nel nostro mondo interno.
Ma al di là dell’identificazione delle origini dell’angoscia e dell’ansia, c’è un’altra motivazione che mi spinge a considerare questo scritto di Freud come fondamentale per l’argomento di cui ti sto parlando.
In esso Freud descrive il passaggio da “angoscia automatica” come reazione contestuale ad una situazione di pericolo ad “angoscia segnale” cioè quello stato emotivo accompagnato dalla classica attivazione psicofisica, che emerge proprio come prefigurazione del pericolo, che lo pre-annuncia in qualche modo, mettendoci in condizione di affrontarlo:
(…) non è possibile trovare un’altra funzione per l’angoscia che non sia quella di un segnale inteso a evitare la situazione di pericolo” (Freud; 1925)
L’aspetto fondamentale della teorizzazione freudiana sta nell'aver sottolineato come questa trasformazione (dall'angoscia automatica a quella segnale) sia “un primo grande progresso dell’auto-conservazione” (ibidem).

Perché gli esami rappresentano un pericolo tale da attivare l’ansia?

Gli esami, siano essi di maturità o universitari, costituiscono una situazione di pericolo nella misura in cui dal loro fallimento (totale o parziale) o successo (anch'esso totale o parziale) ne deriva la soddisfazione o insoddisfazione di bisogni profondi (es. bisogno di auto-affermazione, di rivalsa, di riconoscimento del proprio valore e capacità più che della propria preparazione), nonché la conferma, la disconferma o la maturazione della propria rappresentazione di sé e dei processi identitari.
Si verifica quindi la coincidenza tra un pericolo esterno e reale (l’esame e l’espressione di un giudizio circa la preparazione) ed un pericolo interno carico di significati che restano per lo più sconosciuti allo studente stesso e che non devono necessariamente essere portati alla consapevolezza.
Il pericolo non è dunque relativo alla sopravvivenza fisica ma a ciò che l’esito dell’esame potrebbe comportare, in positivo o in negativo, per la persona che la vive.

#2 L’ansia da esame non deve essere cancellata!

Tornando al caso specifico dell’ansia segnale posso quindi affermare che non solo è normalissimo provare ansia di fronte ad una prova d’esame, ma è soprattutto fondamentale ai fini di una buona preparazione.
Anticipare il momento esatto della valutazione e dell’esame, il timore di fare scena muta o che ci venga posta una domanda proprio su quella minuscola parte del programma che invece stiamo sottovalutando, ci spinge ad approfondire lo studio, a rimandare a dopo il momento dello svago, così attraente mentre si sgobba sui libri.
Si tratta quindi di normale preoccupazione, della salutare e adattiva ansia segnale, che sempre si attiva di fronte ad un pericolo reale o temuto proprio per metterci in grado di affrontarlo.
Certo l’ansia è fastidiosa e a nessuno piace provarla. Tuttavia essa è fondamentale non solo ai fini del superamento di un problema presente:
(…) Preoccuparsi di ciò che accadrà in futuro può portare a un pensiero altamente creativo. Le soluzioni dei problemi sono il prodotto di una preoccupazione. A un atteggiamento preoccupato possono essere associati salutari dubbi su se stessi. Se l’ansia è vista come un problema che deve essere cancellato (…) la psiche umana potrebbe soffrire una perdita sostanziale” (G. O Gabbard, 2002 p. 246).

Questa citazione mi porta direttamente a parlarti del 3° aspetto fondamentale dell’ansia in generale e dell’ansia da esame in particolare:

#3 La capacità di tollerare l’ansia

Se l’ansia è un affetto fondamentale per la psiche umana, per la tua evoluzione, il tuo adattamento e la tua creatività va da sé che l’unica cosa che dobbiamo assolutamente fare è tollerarla, cioè metterci nella condizione di provare ansia senza il bisogno impellente di eliminarla.
Questo della tolleranza dell’ansia è in realtà parte di un discorso più generale e complesso riguardante la regolazione degli stati affettivi e delle emozioni, esito di un percorso di sviluppo che ha origine fin dalla nascita (se non prima) e che impegna la mente umana probabilmente per tutta la vita.
Se quindi il processo evolutivo e di sviluppo dell’autoregolazione emotiva ha origini così lontane, complesse e attraversa l’intero corso dell’esistenza, come possiamo pensare di risolverlo in quattro e quattr'otto seguendo delle regole e suggerimenti per gestire l’ansia trovati qua e là per il web?
Qualcuno potrebbe obiettare che tutta questa mole di informazioni sull'ansia in generale e sull'ansia da esame in particolare, viene prodotta e pubblicata per tutti quei casi in cui il quantitativo di ansia è tale da mandare in blocco lo studente oppure quando il problema riguarda proprio la capacità di tollerarla ed auto-regolarla.
L’ansia eccessiva e disorganizzante, il blocco nello studio, l’impossibilità nel presentarsi ad un esame o a superarlo con il risultato sperato, così come le difficoltà nel tollerare l’ansia segnale, sono aspetti troppo importanti, seri e profondi per essere liquidati e superati semplicemente seguendo i consigli e le regole d’oro che si trovano on-line!

PER CONCLUDERE

  1. L’ansia è un stato emotivo-affettivo fastidioso che nessuno mai vorrebbe provare ma che è necessario per l’adattamento, l’evoluzione e la propria creatività;
  2. Sforzati di trovare la tua personale modalità di affrontare, gestire e regolare l’ansia da esame anche attraverso la richiesta di aiuto a persone che ti sono vicine (familiari stretti, parenti, amici). Questo lavoro, che adesso magari cerchi di evitare ricorrendo ai rimedi racimolati qua e là, ti tornerà utile per affrontare in futuro altre difficoltà.
  3. Rivolgiti all'aiuto specialistico di uno psicologo se:
  • senti che l’ansia è eccessiva rispetto alla sfida che devi affrontare
  • ti accorgi che l’ansia ti impedisce di studiare e concentrarti, presentarti all'esame o sostenere la situazione di esame
  • senti che l’esito del tuo esame ha messo in crisi profondamente te stesso e i tuoi progetti futuri.
Buona Salute!

giovedì 23 giugno 2016

IL MARTEDÌ DELLA MENTE

Dedichiamo spesso molto tempo alla cura del nostro corpo, ma non dobbiamo dimenticarci che anche la mente ha bisogno dei suoi spazi; nasce il giorno dedicato alla cura della tua mente.
Il martedì della mente consiste in laboratori attraverso i quali è possibile apprendere le tecniche di gestioni di sentimenti che spesso influenzano la nostra vita e non ci permettono di condurre una vita serena.
 


 E se non fosse solo rabbia?


Durante la giornata capita di arrabbiarsi.
Spesso si tende ad ignorare questo sentimento apparentemente negativo, facendo sì che questi accadimenti si accumulino fino al punto di esplodere in comportamenti poco funzionali alle relazioni con gli altri.
 
Immaginate, quindi, di poter riconoscere la vostra rabbia prima che questa si accumuli ed esploda.
 
Immaginate di trovare un modo per gestirla senza far del male agli altri, ma soprattutto a voi stessi.

 

Il laboratorio pratico si terrà martedì 5 Luglio dalle ore 19:00 alle ore 20:30 presso il Centro di Psicoterapia Familiare in via Nicola Fabrizi 60.

Il costo del laboratorio è di 10€.


Per info e prenotazioni contattare il numero 3913519017 oppure gruppiapescara@gmail.com

IL TIFO DA STADIO? Te lo spiega la psicologia sociale



Quante volte vi sarà capitato, mentre siete allo stadio a vedere il vostro sport preferito, di considerare il vostro avversario non solo un rivale, ma anche una squadra/atleta dotata/o di caratteristiche negative fra cui incapacità, scorrettezza, antisportività e forse persino sgradevolezza anche solo nei colori delle maglie e dei volti? È quasi sempre così, il rivale, “l’altro”, spesso possiede caratteristiche indesiderabili ai nostri occhi...il tifo, o meglio, gli effetti generati dal tifo, causano una serie di bluff nella nostra mente a cui spesso e volentieri cadiamo a piedi pari... Non si tratta tanto del fenomeno della violenza negli stadi, quanto piuttosto delle sensazioni che può avere un qualsiasi tifoso occasionale.

Il tifo è forse l’elemento fondamentale dell’esistenza di uno sport: uno sport che non ha un certo seguito difficilmente riesce ad emergere e sopravvivere. In Italia è il calcio a farla da padrone, seguito da pallacanestro, pallavolo e motorsport. Il tifo però, dicevamo, può causare effetti collaterali anche al più classico “buon padre di famiglia”, al di là di quale sport si tratti e della categoria in cui viene praticato (ad essere del tutto onesti, il “buon padre di famiglia” spesso si distingue in negativo proprio nell'habitat delle categorie giovanili. Perché persone apparentemente normali si lasciano a volte andare agli istinti più aggressivi?

Una risposta, a mio parere decisamente valida, ce la fornisce la Psicologia Sociale: si tratta di una particolare branca della Psicologia che si occupa dello studio dei processi sociali e cognitivi, del modo in cui persone che entrano in relazione fra di loro si percepiscono e si influenzano. L’obiettivo che si pone, attraverso un approccio scientifico, è quello di cercare di spiegare i fenomeni sociali, le reazioni e le percezioni di individui in interazione, spesso all’interno di contesti usuali e ripetibili.

Cosa ci dice la Psicologia Sociale riguardo al tifo? La risposta è spiazzante: innumerevoli processi avvengono nel nostro cervello, in maniera pressoché automatica, al punto che i più integralisti potrebbero anche pensare che in determinati contesti siamo solo delle marionette guidate da pre-giudizi (intesi come pre-conoscenze di un determinato fatto, condizione, o situazione generale).

Vediamo alcuni di questi fenomeni, prendendo ad esempio la classica partita di calcio:

La premessa principale è l’Euristica: il nostro cervello, quando è in affanno, si basa su modelli denominati “euristiche” che gli permettono di trovare una pronta risposta (una risposta che l’individuo valuta “sufficiente”) nei casi in cui non vi siano tutte le risorse cognitive a disposizione. E’ il cosiddetto processo automatico (o elaborazione superficiale). Una volta compresa l’esistenza di queste euristiche è più facile capire anche cosa avviene durante un partita. Il coinvolgimento emotivo e cognitivo del tifoso lo porta ad avere minori risorse del solito pertanto la possibilità che si attuino delle euristiche è molto elevata. Le principali che si possono verificare riguardano quelle relative alle relazioni fra i gruppi (2 squadre in campo più 2 “squadre” di tifosi sugli spalti) fra cui:

– Categorizzazione: attribuiamo le cause di un comportamento di una persona al fatto che faccia parte di quella specifica categoria. “Quella è la squadra dove rubano i campionati”, “quella è la squadra dei tuffatori”, etc. Se un giocatore è scorretto allora vuol dire che tutta la squadra e i suoi tifosi sono scorretti (diventa perciò uno stereotipo). Mentre per quanto riguarda il proprio gruppo la valutazione è ben diversa, infatti consideriamo una mosca bianca il “compagno” che commette uno sbaglio.

– Omogeneità:“loro”, gli altri, ci sembrano tutti uguali, tendenzialmente “brutti” e con minor valore rispetto a “noi”.

–Contagio emotivo:le emozioni del gruppo si insinuano nei singoli individui. Se io sono di buonumore, ma il gruppo è estremamente aggressivo, tenderò ad allinearmi all'atteggiamento generale, pena la perdita dei miei benefici dell’essere nel gruppo (sia ben chiaro, il tutto in maniera inconscia).

–Condizionamento classico nei gruppi:simile al punto precedente, in questo caso si tratta delle emozioni esperite nell'interazione con altri gruppi (ad esempio la curva avversaria). Le emozioni vissute, con il tempo tendono a diventare intrinseche nel gruppo stesso (se io ho dei rapporti negativi con i tifosi dei “pinguini blu”, con il tempo tenderò a considerare le emozioni negative che io vivo, come invece elemento caratterizzante dei “pinguini blu”, comunemente come avviene nel meccanismo di proiezione.

Identità e difesa del gruppo: quando non c’è un premio in palio, due gruppi nutrono una leggera antipatia di fondo (si tratta del loop per cui, chi fa parte del mio gruppo è “sicuramente” più simpatico di un esterno poiché… appartiene al mio gruppo!). Quando invece il gruppo esterno rappresenta una minaccia (nel caso sportivo una nostra sconfitta) ecco allora manifestarsi sentimenti più intensi, che nei casi peggiori possono portare anche a forti discriminazioni.

I punti sopra elencati sono solo una piccola parte delle regole che ci guidano ogni volta che siamo lì a tifare per i nostri colori. L’idea di una “marionetta guidata da euristiche” è sicuramente molto forte, ma sapere e comprendere che siamo spesso in balìa di fenomeni che sono stati studiati e hanno un nome, quando fino ad oggi credevamo realmente che i “pinguini blu” fossero fondamentalmente malvagi, deve perlomeno far riflettere. In effetti è solo l’elaborazione sistematica, l’unico rimedio a queste forme di pensiero “primordiale” abbinata alla conoscenza approfondita dell’avversario in quanto individuo. Un esempio di ciò ce lo dà il rugby con il terzo tempo e le sue classiche cene di fine partita con l’avversario. La sensibilizzazione al tifo non è nuova in Italia, in particolare è attivo da qualche anno il progetto “io tifo positivo” ideato dal compianto giornalista Candido Cannavò, quand'era direttore della Gazzetta dello Sport, che ha lo scopo di promuovere condividere una cultura sportiva positiva all'interno degli stadi.

Per meglio comprendere quali potrebbero essere le misure anti violenza diamo uno sguardo a cosa succede negli altri Stati europei. Gran Bretagna, Germania, Francia, ma anche Spagna e Belgio hanno regolamentato la materia con impostazioni diverse, ma con una comune impronta preventiva e repressiva.

La Gran Bretagna ha puntato molto sulla responsabilizzazione delle società tanto che ha affidato loro la sorveglianza all’interno degli impianti. Stewards privati pagati direttamente dai club sono in collegamento via radio con la polizia che rimane presente solo all’esterno degli stadi. Oggi le forze dell’ordine inglesi hanno la facoltà di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale.

Il modello anglosassone è stato in parte recepito dalla Germania che, negli ultimi anni, ha ristrutturato gli impianti sportivi togliendo le barriere tra campo e tribune. Oltre alle telecamere esistono poi delle apposite sale con monitor controllati dalla polizia. Anche in questo caso si ricorre al supporto degli stewards pagati dai club.In Germania non esiste una legge nazionale in materia di sicurezza degli stadi e il Governo ha optato per un progetto volto a incoraggiare l’autodisciplina e l’autoresponsabilità dei tifosi stessi. Sta alle autorità regionali richiedere la presenza della polizia per quelle partite ritenute a rischio

Anche in Spagna esiste la figura dello steward, mentre spetta alla Commissione Antiviolenza statale imporre ai club il pagamento di forze di polizia aggiuntive in caso di partite potenzialmente pericolose. Negli stadi spagnoli è vietato introdurre bandiere e aste e i tifosi più violenti possono essere espulsi dagli stadi per tre, sei o anche più mesi.

La Francia invece nel 1993 si è dotata di una legge contro la violenza nello sport e dal 2003 ha sviluppato regole più rigide.

Per quanto riguarda il Belgio è stato invece avviato il progetto ‘Football Fan Card’, una sorta di tessera del tifoso obbligatoria per l’acquisto di un biglietto, dotata di microchip con tutti i dati utili per l’identificazione del tifoso.
 

FONTI: http://www.lecconotizie.com/rubriche/psicologia-dello-sport/il-tifo-da-stadio-te-lo-spiega-la-psicologia-sociale-90470/

http://www.eunews.it/2014/05/06/violenza-negli-stadi-ecco-come-la-combattono-negli-altri-paesi-europei/15317