mercoledì 16 dicembre 2015

Circle time: un nuovo modo di condividere!

Al giorno d’oggi gli insegnanti sono chiamati a fronteggiare situazione all’interno del gruppo classe non facili da gestire, poiché si confrontano spesso con difficoltà quali:
-     difficoltà di ascolto (gli alunni si distraggono o non rispettano i turni di parola);
-  gestione di alunni con comportamenti più o meno sintomatici (che esprimono, quindi, un bisogno di “farsi vedere” tanto dagli insegnanti quanto dai compagni);
- alunni poco partecipativi (che tentano di “passare inosservati” o di omologarsi).

Il modello di insegnamento frontale che pone al centro il docente e che offre a tutti gli alunni gli stessi stimoli è inefficace perchè non permette a ciascun alunno di essere coinvolto adeguatamente. Per tale ragione è opportuno utilizzare metodologie didattiche ed educative inclusive che favoriscano le competenze individuali, valorizzandone le risorse e le differenze di ciascuno. Una di queste è il Circle Time.

E’ un metodo di lavoro pensato per facilitare la comunicazione e la conoscenza reciproca all’interno di un gruppo. La scuola è il contesto ideale in cui può essere applicato perché:
-     consente agli alunni di conoscersi meglio, valorizzando le loro differenze e consente anche agli insegnanti di conoscere meglio il gruppo classe;
-     facilita l’inclusione;
-     può essere uno strumento di prevenzione e gestione della conflittualità.

Come si svolge?



Come illustrato nelle figure, gli alunni si dispongono per terra o sulle sedie in cerchio,lasciando spazio al centro, di modo che ciascuno possa essere visto e possa vedere gli altri, sotto la guida di un adulto. La comunicazione avviene attraverso regole stabilite all’inizio e finalizzate a promuovere l’ascolto attivo e la partecipazione di tutti. Il circle time ha una cadenza regolare e una durata fissa (75min circa).
All’interno del gruppo possono essere proposte delle attività strutturate guidate dall’insegnante oppure lasciata libertà di discussione (a seconda della fase del gruppo e delle specifiche esigenze della classe) su tematiche proposte dagli stessi alunni. All’interno del cerchio l’insegnante ricopre il ruolo di facilitatore della comunicazione, evitando di assumere posizioni centrali (per esempio fornendo soluzioni o risposte agli alunni). E’ importante che ci sia una programmazione, ossia che il gruppo docente senta questa attività come parte integrante della vita di classe: una strategia che può aiutare gli insegnanti a lavorare meglio è proprio l’organizzazione di spazi in cui condividere l’esperienza in corso che, quindi, diventerà un’opportunità per tutti. In questo contesto lo psicologo potrebbe apportare il suo specifico contributo, ossia nel ruolo di “coordinatore” degli insegnanti, senza frapporsi nel rapporto diretto tra docenti e alunni. 
L’obiettivo ultimo dell’uso del circle-time è facilitare la cooperazione fra tutti i membri del gruppo-classe, la creazione di uno spazio in cui ciascuno è incluso e chiamato a partecipare, sebbene con le proprie modalità e i propri tempi, in modo da soddisfare sia il proprio bisogno di appartenenza che di individualità, elementi che la psicologia riconosce come fondamentali per l’equilibrato sviluppo psichico della persona.

giovedì 3 dicembre 2015



BULLISMO OMOFOBICO: UNA NUOVA FORMA DI BULLISMO








Il bullismo omofobico è una nuova di bullismo diffusa negli ultimi anni  soprattutto nell’ambito scolastico.
E’ caratterizzata da atteggiamenti discriminatori nei confronti di adolescenti omosessuali. Tale fenomeno è particolarmente evidente all’interno dell’ambito scolastico, il quale contribuisce, insieme all’ambiente familiare, alla formazione dell’identità dell’adolescente. Per constatare e per indagare più nello specifico tale fenomeno, ho intrapreso un progetto sperimentale, al fine della tesi magistrale, che prevedesse la raccolta di dati attraverso la somministrazione di diversi questionari, volti a mettere in luce atteggiamenti tipici del bullismo, opinioni pregiudizievoli o meno relative al tema dell’omosessualità, funzionamento familiare e condotte morali. La ricerca ha coinvolto 165 studenti delle scuole secondarie della città di Chieti, i quali si sono mostrati collaborativi e partecipi ai fini del progetto sperimentale.
Da tale ricerca non è emerso un elevato pregiudizio nei confronti dell’omosessualità anche se, a mio parere potrebbe essersi verificato il fenomeno della “desiderabilità sociale”, cioè i ragazzi potrebbero aver dato risposte non del tutto sincere per rendersi desiderabili agli occhi dello sperimentatore. Ciò potrebbe essere accaduto in quanto i ragazzi, prima della somministrazione dei questionari, sono stati informati sul tema della ricerca. Sono emersi però due aspetti interessanti: l’omosessualità è ritenuta come qualcosa che l’individuo sceglie; l’omosessualità femminile viene maggiormente accettata perchè considerata, soprattutto dai maschi, come un atteggiamento più facilmente  tollerabile.
La non accettazione di questi atteggiamenti omosessuali maschili, si ripercuoterebbe anche negli atti discriminatori di cui i ragazzi fanno cenno all’interno dei questionari e si verificherebbe in larga misura soprattutto in una dimensione in cui tale fenomeno è difficile da contrastare: internet. Ciò fa scaturire  nei ragazzi un forte turbamento e una paura per non essere accettati per come sono. Questo rifiuto si manifesta fortemente anche all’interno dell’ambito familiare, dove la maggior parte di loro riferisce di riscontrare una difficoltà nella comunicazione con i propri genitori. Tale difficoltà provocherebbe nell’adolescente una chiusura a livello emotivo e un’insoddisfazione affettiva che potrebbe portarlo a ricercare affetto e comprensione al di fuori del contesto familiare.
La motivazione che mi ha spinto ad intraprendere tale ricerca è legata alla questione che gli adolescenti vengono spesso abbandonati a loro stessi laddove dovrebbero essere sostenuti ed indirizzati lungo un cammino di formazione verso l’individualità e la vita adulta. Per far ciò sarebbe opportuno creare una stretta alleanza tra scuola e famiglia e uno spazio di condivisione e di interazione che possa accrescere l’autostima dei ragazzi e rafforzare l’alleanza all’ interno del gruppo classe. Ascoltare i dubbi, le paure e le idee dei ragazzi aiuta loro ad emergere, a non isolarsi e a credere che nessun traguardo sia impossibile da raggiungere e che non si è mai da soli nell’affrontarlo. 


Dott.ssa Ortensia Posa 
Laureata alla Magistrale in Psicologia dello sviluppo presso l'Università G. D'annunzio Chieti-Pescara e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus. 

Prenditi il diritto di sorprenderti.


Milan Kundera

mercoledì 2 dicembre 2015

NESSUN UOMO E’ UN’ISOLA

Ogni giorno, nella vita privata ed in quella professionale,  abbiamo la conferma che siamo tutti collegati, che ogni singola persona fa parte di un gruppo, arrivando alla conclusione che davvero “nessun uomo è un isola”.
Quello che personalmente ho vissuto, e che sto tuttora vivendo, soprattutto grazie al mio percorso di tirocinio professionalizzante in Psicologia, mi spinge a riflettere sull’importanza terapeutica del gruppo. Nella struttura in cui svolgo il tirocinio infatti non sono sola, ma condivido il  tempo e lo spazio con altri quattro ragazzi.
La nascita di questo gruppo inizia con l’arrivo di queste persone sconosciute, ognuna con un “bagaglio” di idee, vissuti e paure, “costrette” a  far posto per la valigia dell’altro.
Non ci siamo scelti, probabilmente al di fuori di questa esperienza non ci saremmo mai conosciuti, ma in qualche modo, con il tempo e la supervisione dei nostri tutor, ci siamo trasformati, oggi non siamo più cinque estranei che condividono uno spazio, quello che vedo è più simile ad una macchina, in cui ogni pezzo è fondamentale affinché possa funzionare.
Lavoriamo insieme, ci confrontiamo, discutiamo, ognuno dà spazio e tempo agli altri, ognuno prova ad entrare nel mondo e nella visione dell’altro, sempre con sensibilità e rispetto.
Irving Yalom, uno psicoterapeuta statunitense, parla di “fattori terapeutici“ nella psicoterapia di gruppo, ovvero ci sono un insieme di elementi, presenti solo nel gruppo, che sono responsabili del cambiamento positivo delle persone. Approfondendo la questione in merito, mi sono resa conto che, anche se questo gruppo non ha scopi terapeutici, in parte riesce a rispecchiare le medesime funzioni.
Il gruppo infonde speranza, ci dà, ad ognuno di noi, la possibilità di affidarci all’altro, ci mostra che non siamo gli unici a soffrire o a vivere determinate situazioni. Ci permette, in una situazione protetta, di acquisire una maggior consapevolezza di noi stessi, di valutare l'impatto dei nostri comportamenti sugli altri, di stabilire relazioni interpersonali diverse e gratificanti, di sperimentare nuovi comportamenti e di utilizzare le capacità acquisite anche al di fuori del gruppo.
Sono enormemente grata a questo gruppo, alle sue dinamiche e alle sue potenzialità, sento che in me ha favorito un cambiamento, ogni persona conosciuta qui dentro mi ha permesso di scoprire altro di me, di rendere il mio “bagaglio” più capiente e allo stesso tempo ricco.
Il gruppo mi ha dato l’opportunità di affrontare i miei limiti e riconoscere le mie risorse, mi ha insegnato a saper stare con gli altri ed anche in perfetta solitudine, mi ha permesso di scegliere se essere un isola, distaccata dagli altri, o appartenere a qualcosa.

Dott.ssa Valentina D’Alessio

Laureata in Psicologia Clinica e della Salute e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus