giovedì 23 giugno 2016

IL TIFO DA STADIO? Te lo spiega la psicologia sociale



Quante volte vi sarà capitato, mentre siete allo stadio a vedere il vostro sport preferito, di considerare il vostro avversario non solo un rivale, ma anche una squadra/atleta dotata/o di caratteristiche negative fra cui incapacità, scorrettezza, antisportività e forse persino sgradevolezza anche solo nei colori delle maglie e dei volti? È quasi sempre così, il rivale, “l’altro”, spesso possiede caratteristiche indesiderabili ai nostri occhi...il tifo, o meglio, gli effetti generati dal tifo, causano una serie di bluff nella nostra mente a cui spesso e volentieri cadiamo a piedi pari... Non si tratta tanto del fenomeno della violenza negli stadi, quanto piuttosto delle sensazioni che può avere un qualsiasi tifoso occasionale.

Il tifo è forse l’elemento fondamentale dell’esistenza di uno sport: uno sport che non ha un certo seguito difficilmente riesce ad emergere e sopravvivere. In Italia è il calcio a farla da padrone, seguito da pallacanestro, pallavolo e motorsport. Il tifo però, dicevamo, può causare effetti collaterali anche al più classico “buon padre di famiglia”, al di là di quale sport si tratti e della categoria in cui viene praticato (ad essere del tutto onesti, il “buon padre di famiglia” spesso si distingue in negativo proprio nell'habitat delle categorie giovanili. Perché persone apparentemente normali si lasciano a volte andare agli istinti più aggressivi?

Una risposta, a mio parere decisamente valida, ce la fornisce la Psicologia Sociale: si tratta di una particolare branca della Psicologia che si occupa dello studio dei processi sociali e cognitivi, del modo in cui persone che entrano in relazione fra di loro si percepiscono e si influenzano. L’obiettivo che si pone, attraverso un approccio scientifico, è quello di cercare di spiegare i fenomeni sociali, le reazioni e le percezioni di individui in interazione, spesso all’interno di contesti usuali e ripetibili.

Cosa ci dice la Psicologia Sociale riguardo al tifo? La risposta è spiazzante: innumerevoli processi avvengono nel nostro cervello, in maniera pressoché automatica, al punto che i più integralisti potrebbero anche pensare che in determinati contesti siamo solo delle marionette guidate da pre-giudizi (intesi come pre-conoscenze di un determinato fatto, condizione, o situazione generale).

Vediamo alcuni di questi fenomeni, prendendo ad esempio la classica partita di calcio:

La premessa principale è l’Euristica: il nostro cervello, quando è in affanno, si basa su modelli denominati “euristiche” che gli permettono di trovare una pronta risposta (una risposta che l’individuo valuta “sufficiente”) nei casi in cui non vi siano tutte le risorse cognitive a disposizione. E’ il cosiddetto processo automatico (o elaborazione superficiale). Una volta compresa l’esistenza di queste euristiche è più facile capire anche cosa avviene durante un partita. Il coinvolgimento emotivo e cognitivo del tifoso lo porta ad avere minori risorse del solito pertanto la possibilità che si attuino delle euristiche è molto elevata. Le principali che si possono verificare riguardano quelle relative alle relazioni fra i gruppi (2 squadre in campo più 2 “squadre” di tifosi sugli spalti) fra cui:

– Categorizzazione: attribuiamo le cause di un comportamento di una persona al fatto che faccia parte di quella specifica categoria. “Quella è la squadra dove rubano i campionati”, “quella è la squadra dei tuffatori”, etc. Se un giocatore è scorretto allora vuol dire che tutta la squadra e i suoi tifosi sono scorretti (diventa perciò uno stereotipo). Mentre per quanto riguarda il proprio gruppo la valutazione è ben diversa, infatti consideriamo una mosca bianca il “compagno” che commette uno sbaglio.

– Omogeneità:“loro”, gli altri, ci sembrano tutti uguali, tendenzialmente “brutti” e con minor valore rispetto a “noi”.

–Contagio emotivo:le emozioni del gruppo si insinuano nei singoli individui. Se io sono di buonumore, ma il gruppo è estremamente aggressivo, tenderò ad allinearmi all'atteggiamento generale, pena la perdita dei miei benefici dell’essere nel gruppo (sia ben chiaro, il tutto in maniera inconscia).

–Condizionamento classico nei gruppi:simile al punto precedente, in questo caso si tratta delle emozioni esperite nell'interazione con altri gruppi (ad esempio la curva avversaria). Le emozioni vissute, con il tempo tendono a diventare intrinseche nel gruppo stesso (se io ho dei rapporti negativi con i tifosi dei “pinguini blu”, con il tempo tenderò a considerare le emozioni negative che io vivo, come invece elemento caratterizzante dei “pinguini blu”, comunemente come avviene nel meccanismo di proiezione.

Identità e difesa del gruppo: quando non c’è un premio in palio, due gruppi nutrono una leggera antipatia di fondo (si tratta del loop per cui, chi fa parte del mio gruppo è “sicuramente” più simpatico di un esterno poiché… appartiene al mio gruppo!). Quando invece il gruppo esterno rappresenta una minaccia (nel caso sportivo una nostra sconfitta) ecco allora manifestarsi sentimenti più intensi, che nei casi peggiori possono portare anche a forti discriminazioni.

I punti sopra elencati sono solo una piccola parte delle regole che ci guidano ogni volta che siamo lì a tifare per i nostri colori. L’idea di una “marionetta guidata da euristiche” è sicuramente molto forte, ma sapere e comprendere che siamo spesso in balìa di fenomeni che sono stati studiati e hanno un nome, quando fino ad oggi credevamo realmente che i “pinguini blu” fossero fondamentalmente malvagi, deve perlomeno far riflettere. In effetti è solo l’elaborazione sistematica, l’unico rimedio a queste forme di pensiero “primordiale” abbinata alla conoscenza approfondita dell’avversario in quanto individuo. Un esempio di ciò ce lo dà il rugby con il terzo tempo e le sue classiche cene di fine partita con l’avversario. La sensibilizzazione al tifo non è nuova in Italia, in particolare è attivo da qualche anno il progetto “io tifo positivo” ideato dal compianto giornalista Candido Cannavò, quand'era direttore della Gazzetta dello Sport, che ha lo scopo di promuovere condividere una cultura sportiva positiva all'interno degli stadi.

Per meglio comprendere quali potrebbero essere le misure anti violenza diamo uno sguardo a cosa succede negli altri Stati europei. Gran Bretagna, Germania, Francia, ma anche Spagna e Belgio hanno regolamentato la materia con impostazioni diverse, ma con una comune impronta preventiva e repressiva.

La Gran Bretagna ha puntato molto sulla responsabilizzazione delle società tanto che ha affidato loro la sorveglianza all’interno degli impianti. Stewards privati pagati direttamente dai club sono in collegamento via radio con la polizia che rimane presente solo all’esterno degli stadi. Oggi le forze dell’ordine inglesi hanno la facoltà di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale.

Il modello anglosassone è stato in parte recepito dalla Germania che, negli ultimi anni, ha ristrutturato gli impianti sportivi togliendo le barriere tra campo e tribune. Oltre alle telecamere esistono poi delle apposite sale con monitor controllati dalla polizia. Anche in questo caso si ricorre al supporto degli stewards pagati dai club.In Germania non esiste una legge nazionale in materia di sicurezza degli stadi e il Governo ha optato per un progetto volto a incoraggiare l’autodisciplina e l’autoresponsabilità dei tifosi stessi. Sta alle autorità regionali richiedere la presenza della polizia per quelle partite ritenute a rischio

Anche in Spagna esiste la figura dello steward, mentre spetta alla Commissione Antiviolenza statale imporre ai club il pagamento di forze di polizia aggiuntive in caso di partite potenzialmente pericolose. Negli stadi spagnoli è vietato introdurre bandiere e aste e i tifosi più violenti possono essere espulsi dagli stadi per tre, sei o anche più mesi.

La Francia invece nel 1993 si è dotata di una legge contro la violenza nello sport e dal 2003 ha sviluppato regole più rigide.

Per quanto riguarda il Belgio è stato invece avviato il progetto ‘Football Fan Card’, una sorta di tessera del tifoso obbligatoria per l’acquisto di un biglietto, dotata di microchip con tutti i dati utili per l’identificazione del tifoso.
 

FONTI: http://www.lecconotizie.com/rubriche/psicologia-dello-sport/il-tifo-da-stadio-te-lo-spiega-la-psicologia-sociale-90470/

http://www.eunews.it/2014/05/06/violenza-negli-stadi-ecco-come-la-combattono-negli-altri-paesi-europei/15317

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