Quante volte vi sarà capitato, mentre siete allo stadio a vedere il vostro
sport preferito, di considerare il vostro avversario non solo un rivale, ma
anche una squadra/atleta dotata/o di caratteristiche negative fra cui
incapacità, scorrettezza, antisportività e forse persino sgradevolezza anche
solo nei colori delle maglie e dei volti? È quasi sempre così,
il rivale, “l’altro”, spesso possiede caratteristiche indesiderabili ai nostri
occhi...il tifo, o meglio, gli effetti generati dal tifo,
causano una serie di bluff nella nostra mente a cui spesso e volentieri cadiamo
a piedi pari... Non si tratta tanto del fenomeno della violenza negli stadi,
quanto piuttosto delle sensazioni che può avere un qualsiasi tifoso
occasionale.
Il tifo è forse
l’elemento fondamentale dell’esistenza di uno sport: uno sport che non ha un
certo seguito difficilmente riesce ad emergere e sopravvivere. In Italia è il
calcio a farla da padrone, seguito da pallacanestro, pallavolo e motorsport. Il
tifo però, dicevamo, può causare effetti collaterali anche al più classico
“buon padre di famiglia”, al di là di quale sport si tratti e della categoria
in cui viene praticato (ad essere del tutto onesti, il “buon padre di famiglia”
spesso si distingue in negativo proprio nell'habitat delle categorie giovanili.
Perché persone apparentemente normali si lasciano a volte andare agli istinti
più aggressivi?
Una risposta, a mio
parere decisamente valida, ce la fornisce la Psicologia Sociale: si tratta di
una particolare branca della Psicologia che si occupa dello studio dei processi
sociali e cognitivi, del modo in cui persone che entrano in relazione fra di
loro si percepiscono e si influenzano. L’obiettivo che si pone, attraverso un
approccio scientifico, è quello di cercare di spiegare i fenomeni sociali, le
reazioni e le percezioni di individui in interazione, spesso all’interno di
contesti usuali e ripetibili.
Cosa ci dice la
Psicologia Sociale riguardo al tifo? La risposta è spiazzante: innumerevoli
processi avvengono nel nostro cervello, in maniera pressoché automatica, al
punto che i più integralisti potrebbero anche pensare che in determinati
contesti siamo solo delle marionette guidate da pre-giudizi (intesi come
pre-conoscenze di un determinato fatto, condizione, o situazione generale).
Vediamo alcuni di questi
fenomeni, prendendo ad esempio la classica partita di calcio:
La premessa principale è
l’Euristica: il nostro cervello, quando è in affanno, si basa su modelli
denominati “euristiche” che gli permettono di trovare una pronta risposta (una
risposta che l’individuo valuta “sufficiente”) nei casi in cui non vi siano
tutte le risorse cognitive a disposizione. E’ il cosiddetto processo automatico
(o elaborazione superficiale). Una volta compresa l’esistenza di queste
euristiche è più facile capire anche cosa avviene durante un partita. Il
coinvolgimento emotivo e cognitivo del tifoso lo porta ad avere minori risorse
del solito pertanto la possibilità che si attuino delle euristiche è molto
elevata. Le principali che si possono verificare riguardano quelle relative
alle relazioni fra i gruppi (2 squadre in campo più 2 “squadre” di tifosi sugli
spalti) fra cui:
– Categorizzazione: attribuiamo
le cause di un comportamento di una persona al fatto che faccia parte di quella
specifica categoria. “Quella è la squadra dove rubano i campionati”, “quella è
la squadra dei tuffatori”, etc. Se un giocatore è scorretto allora vuol dire
che tutta la squadra e i suoi tifosi sono scorretti (diventa perciò uno
stereotipo). Mentre per quanto riguarda il proprio gruppo la valutazione è ben
diversa, infatti consideriamo una mosca bianca il “compagno” che commette uno
sbaglio.
– Omogeneità:“loro”, gli altri, ci sembrano tutti
uguali, tendenzialmente “brutti” e con minor valore rispetto a “noi”.
–Contagio
emotivo:le emozioni del gruppo si
insinuano nei singoli individui. Se io sono di buonumore, ma il gruppo è
estremamente aggressivo, tenderò ad allinearmi all'atteggiamento generale, pena
la perdita dei miei benefici dell’essere nel gruppo (sia ben chiaro, il tutto
in maniera inconscia).
–Condizionamento
classico nei gruppi:simile al punto
precedente, in questo caso si tratta delle emozioni esperite nell'interazione
con altri gruppi (ad esempio la curva avversaria). Le emozioni vissute, con il
tempo tendono a diventare intrinseche nel gruppo stesso (se io ho dei rapporti
negativi con i tifosi dei “pinguini blu”, con il tempo tenderò a considerare le
emozioni negative che io vivo, come invece elemento caratterizzante dei
“pinguini blu”, comunemente come avviene nel meccanismo di proiezione.
–Identità e difesa del gruppo: quando non c’è un premio in palio, due
gruppi nutrono una leggera antipatia di fondo (si tratta del loop per cui, chi
fa parte del mio gruppo è “sicuramente” più simpatico di un esterno poiché…
appartiene al mio gruppo!). Quando invece il gruppo esterno rappresenta una
minaccia (nel caso sportivo una nostra sconfitta) ecco allora manifestarsi
sentimenti più intensi, che nei casi peggiori possono portare anche a forti
discriminazioni.
I punti sopra elencati
sono solo una piccola parte delle regole che ci guidano ogni volta che siamo lì
a tifare per i nostri colori. L’idea di una “marionetta guidata da euristiche”
è sicuramente molto forte, ma sapere e comprendere che siamo spesso in balìa di
fenomeni che sono stati studiati e hanno un nome, quando fino ad oggi credevamo
realmente che i “pinguini blu” fossero fondamentalmente malvagi, deve perlomeno
far riflettere. In effetti è solo l’elaborazione sistematica, l’unico rimedio a
queste forme di pensiero “primordiale” abbinata alla conoscenza approfondita
dell’avversario in quanto individuo. Un esempio di ciò ce lo dà il rugby con il
terzo tempo e le sue classiche cene di fine partita con l’avversario. La
sensibilizzazione al tifo non è nuova in Italia, in particolare è attivo da
qualche anno il progetto “io tifo positivo” ideato dal compianto giornalista
Candido Cannavò, quand'era direttore della Gazzetta dello Sport, che ha lo
scopo di promuovere condividere una cultura sportiva positiva all'interno
degli stadi.
Per meglio comprendere
quali potrebbero essere le misure anti violenza diamo uno sguardo a cosa
succede negli altri Stati europei. Gran Bretagna, Germania, Francia, ma anche
Spagna e Belgio hanno regolamentato la materia con impostazioni diverse, ma con
una comune impronta preventiva e repressiva.
La Gran Bretagna ha
puntato molto sulla responsabilizzazione delle società tanto che ha affidato
loro la sorveglianza all’interno degli impianti. Stewards privati pagati
direttamente dai club sono in collegamento via radio con la polizia che rimane
presente solo all’esterno degli stadi. Oggi le forze dell’ordine inglesi hanno
la facoltà di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo
per violenza verbale.
Il modello anglosassone è
stato in parte recepito dalla Germania che, negli ultimi anni, ha ristrutturato
gli impianti sportivi togliendo le barriere tra campo e tribune. Oltre alle
telecamere esistono poi delle apposite sale con monitor controllati dalla polizia.
Anche in questo caso si ricorre al supporto degli stewards pagati dai club.In
Germania non esiste una legge nazionale in materia di sicurezza degli stadi e
il Governo ha optato per un progetto volto a incoraggiare l’autodisciplina e
l’autoresponsabilità dei tifosi stessi. Sta alle autorità regionali richiedere
la presenza della polizia per quelle partite ritenute a rischio
Anche in Spagna esiste la
figura dello steward, mentre spetta alla Commissione Antiviolenza statale
imporre ai club il pagamento di forze di polizia aggiuntive in caso di partite
potenzialmente pericolose. Negli stadi spagnoli è vietato introdurre bandiere e
aste e i tifosi più violenti possono essere espulsi dagli stadi per tre, sei o
anche più mesi.
La Francia invece nel
1993 si è dotata di una legge contro la violenza nello sport e dal 2003 ha
sviluppato regole più rigide.
Per quanto riguarda il
Belgio è stato invece avviato il progetto ‘Football Fan Card’, una sorta di
tessera del tifoso obbligatoria per l’acquisto di un biglietto, dotata di
microchip con tutti i dati utili per l’identificazione del tifoso.
FONTI: http://www.lecconotizie.com/rubriche/psicologia-dello-sport/il-tifo-da-stadio-te-lo-spiega-la-psicologia-sociale-90470/
http://www.eunews.it/2014/05/06/violenza-negli-stadi-ecco-come-la-combattono-negli-altri-paesi-europei/15317
Nessun commento:
Posta un commento